Una settimana
è passata una settimana...o meglio fa una settimana stanotte. All'1 e 30 circa. Una settimana fa, abbiamo festeggiato mio Padre che compiva 70 anni, ballando ridendo e scherzando con tutta la famiglia. Ricordando il passato e commuovendoci anche un pò. E' stato un successo. Ma all'1 e 30 di una settimana fa moriva a un metro dal mio cancello Marco Andreotti. La folle corsa della moto, un transalp, come da foto, il volo, lo schianto. La morte. L'immobilità della morte. Un immagine che non dimenticherò facilmente. Non conoscevo il ragazzo. Non sentirò la sua mancanza. Non l'ho mai visto. Se non di sfuggita. Quello che però ha lasciato in me Marco è un senso di impotenza. Come se sentire in lontananza il rombo inferocito della moto, sentirlo strozzarsi nel boato dell'impatto, sentire lo strusciare della moto protrarsi per lunghi secondi dopo,per arrestarsi quando ero già giù per le scale affannato, avesse lasciato in me la consapevolezza che qualcuno avesse deciso di spegnere l'interruttore e togliere corrente alla vita di qualcuno. E NON SOLO. A lasciare per anni il senso di colpa a due persone che inevitabilmente si sentiranno scalfiti in maniera irreversibile nell'anima. Il guidatore del'auto che uscendo da un parcheggio ha dato inizo a tutto ciò. Bastava un secondo dopo. Un solo secondo dopo. Un eruttazione, uno sbadiglio. Bastava che il barista facesse una battuta, bastava...un secondo. Non è colpa sua. SAPPIATELO. E il compagno? Lui che spingeva quella moto ad una velocità folle? adesso balla tra la vita e la morte...sapendo che se sarà vita rimpiangerà la morte. Probabilmente su una sedia a rotelle. Sensi di colpa. Perenni. Ma non è neanche sua la colpa. La colpa è di chi preme l'interruttore.
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